Il ritratto nella storia dell’uomo.

Come nasce e si trasforma il ritratto nelle varie epoche storiche.

Il ritratto nella storia dell’uomo. La figura umana è sempre stata un soggetto affascinante per gli artisti di tutti i tempi. Oggi grazie alla fotografia è possibile immortalare le persone in ogni fase della loro vita, ma prima della sua invenzione (1851), era comune eseguire ritratti nelle occasioni importanti, per preservare un ricordo del tempo che è stato, delle persone lontane o non più in vita. 

 

 

Anticamente il ritratto era riservato ai grandi personaggi, sovrani, imperatori, ricchi esponenti dell’aristocrazia. Venivano realizzati busti e mezzi busti in marmo, che raffiguravano la fisionomia della persona con gran cura dei dettagli: le acconciature delle donne, la barba negli uomini, i gioielli, i drappeggi dei vestiti erano riprodotti con grande realismo, e oggi sono elementi utili per risalire alla cronologia delle opere. I ritratti che si sono conservati meglio nel tempo sono quelli su tavola, perché la pittura su legno perdura più a lungo rispetto ad affreschi e tele dipinte.

Durante il Medioevo le raffigurazioni erano principalmente dedicate alle figure sacre: Cristo, la Madonna, i Papi, i santi e i martiri erano i soggetti prediletti dell’iconografia medievale. Le figure divine erano ritratte in grandi proporzioni nelle tele, mentre i committenti, anch’essi raffigurati, si riducevano a miniature sproporzionate.

I ritratti non sono mai stati solo semplici rappresentazioni della fisionomia, ma vanno oltre la documentazione e mostrano sempre uno sguardo interpretativo dell’artista sul soggetto.

Nel corso dei secoli lo sguardo dell’artista è cambiato giungendo a soluzioni sempre nuove e inaspettate, passando per la pittura rappresentativa, realistica e astratta. Al giorno d’oggi un ritratto è considerato un oggetto di lusso, ancor più che nei secoli scorsi, e assume grande valore in quanto riesce a rappresentare l’essenza interiore del personaggio, dal punto di vista dell’artista: perché lo scopo dell’arte non si riduce alla mera rappresentazione oggettiva, ma deve indagare ciò che sta al di sotto dell’apparenza, deve lasciar trasparire il significato interiore.

La centralità dell’uomo nell’Umanesimo

Il ritratto nell’accezione moderna nacque nel Quattrocento, quando nell’arte fu riscoperta la centralità dell’uomo. Se fino ad allora i ritratti erano prerogativa della nobiltà, con l’Umanesimo si diffusero anche tra la nuova borghesia e diventarono uno status symbol, con una funzione che andava oltre quella di ricordo delle persone lontane o commemorazione.

Nella nuova cultura umanistica il ritratto riconosceva la centralità dell’uomo e la sua dignità di soggetto autonomo, i personaggi erano raffigurati con un realismo epidermico, caratterizzati nel loro ruolo sociale e posavano sempre con signorile compostezza.

Nel Quattrocento il ritratto si sviluppò in varie tipologie: busto, mezza figura, figura intera, di profilo, di famiglia, di gruppo. Apparvero nei ritratti anche le donne, non più come mero ideale di bellezza ma rappresentate in quanto persone con le proprie caratteristiche.

Piero della Francesca, ritratto di Federico da Montefeltro e Battista Sforza 

Il ritratto a mezza figura era ideale per rappresentare il personaggio nel suo complesso, perché, senza soffermarsi solo sul volto, concentrava l’attenzione anche al modo di vestire, ai gesti, alla posa. Si diffondeva anche il ritratto di profilo, che permetteva di mettere in risalto i tratti fisionomici caratteristici di una persona, e al contempo di idealizzare e stilizzare la figura, rendendola riconoscibile seppur eliminandone i difetti fisici.

Il ritratto di corte nacque con Giotto, che dipinse nella cappella degli Scrovegni a Padova una serie di pale dedicate a sovrani, santi di corte, donatori e committenti. I personaggi raffigurati avevano un ruolo centrale e assumevano dignità artistica anche grazie alle inquadrature che li ritraevano a mezza figura, con gran ricchezza di dettagli sugli abiti, gioielli e acconciature che ne rivelavano lo stato sociale; o ritratti di gruppo che mostravano l’abitazione e la famiglia al completo.

GUARDA MEGLIO QUI – Dipinto olandese raffigurante scena d’interno, A. J. Madiol, 1911

La pittura fiamminga

L’arte delle Fiandre ebbe grande importanza nell’evoluzione del ritratto e divenne la culla di un nuovo movimento pittorico promosso da Jan Van Eyck, che aprì la strada al ritratto realistico. Grande esempio è il celebre “I coniugi Arnolfini”, che con il suo sguardo oggettivo, profondo e indagatore segnò lo sviluppo dell’intera ritrattistica rinascimentale.

La pittura fiamminga introdusse una nuova postura del personaggio raffigurato: si passò così dalla descrizione di profilo alla posa a tre quarti. Tale posizione permetteva una più minuta analisi fisica e psicologica del personaggio. Si passava quindi da una convenzionalità psicologica all’analisi del reale stato d’animo del soggetto.

Le influenze fiamminghe si sentirono anche in Italia, infatti l’impostazione dei ritratti cambiò radicalmente. I pittori si concentrarono sui tratti somatici e peculiari dei loro soggetti, ripresi con gran cura dei dettagli, e sulla rappresentazione di abiti e acconciature, che ci raccontavano la storia del personaggio, le mode e le usanze dell’epoca.

Iniziarono ad essere ritratte anche le donne. Se il ritratto maschile commemorava gesta e vittorie, quello femminile immortalava la donna nello splendore di un particolare momento della sua vita, che diventava un modello da imitare per le altre donne, elevandosi a nuovo canone di bellezza.

Il ritratto Rinascimentale

Le innovazioni della corrente umanista negli ultimi decenni del Quattrocento portarono allo sviluppo dell’arte figurativa rinascimentale. All’inizio del Cinquecento le trasformazioni accelerarono, grazie alle ricerche di artisti come Leonardo, Raffaello, Giorgione, Tiziano, che caratterizzarono il periodo e fecero scuola alla pittura rinascimentale.

I pittori veneti elaborarono il ritratto a mezzo busto, caratterizzato da un’attenzione introspettiva alla vita interiore e sociale del personaggio, che si rivelava attraverso simboli e allegorie. Grandi maestri di questo genere furono Tiziano, Tintoretto, Lorenzo Lotto, Gian Battista Moroni. In quel periodo si diffuse anche il ritratto ufficiale, con il sovrano a cavallo o sul trono, dal carattere solenne e celebrativo, che divenne una moda in tutta Europa. Raffaello fu un maestro del ritratto aulico e idealizzato, mentre Leonardo si concentrava sulla percezione psicologica del soggetto.

Nel Nord Europa la ritrattistica assumeva connotazioni proprie: principali esponenti furono Dürer e Holbein, i cui ritratti erano caratterizzati da una forte capacità di indagine e da una minuziosità quasi ossessiva.

Ritratto di giovane nobildonna asburgica, Francia XX secolo – GUARDA MEGLIO QUI  

Dürer diede inizio alla tradizione dell’autoritratto allo specchio, che è per l’artista un mezzo per conoscersi meglio ed esplorarsi, e all’osservatore permette di riflettersi nella figura che osserva, trovando delle somiglianze. L’indagine introspettiva di sé permessa dall’autoritratto corre parallela anche alla storia dell’autocoscienza artistica. Il pittore si elevava ad una posizione sociale elevata, diversa da quella del semplice artigiano. Nel celebre autoritratto la sua figura è inquadrata in una partitura di finestre e paesaggio cosicché l’attenzione si focalizzi sul personaggio. Sotto la finestra si legge “1498 feci questo secondo le mie sembianze quando avevo 26 anni”.

Holbein realizzò una serie di emblematici ritratti dei mercanti, caratterizzati come esponenti di una precisa classe sociale. Ne evidenziò infatti i tratti di personalità affini alla condizione mercantile: sicurezza di sé, spirito calcolatore, crudo realismo. Nell’ambiente circostante sigilli, anelli, bilance di precisione indicano il contesto sociale.

Albrecht Dürer, autoritratto allo specchio
 Jan van Eyck, “I coniugi Arnolfini” 1434
GUARDA MEGLIO QUI – D. Tenier, “Scena di interno con personaggi popolari in festa”, Olanda

Il ritratto di gruppo

I pittori fiamminghi del Seicento diffusero la moda dei ritratti di gruppo: esponenti della nuova borghesia mercantile, compagnie militari, gruppi di professionisti, coppie di sposi o fidanzati, ritratti di famiglia. Erano molto comuni i ritratti di gruppo in ambiente domestico o nel paesaggio, che raffiguravano le persone in conversazione.

Numerosi pittori italiani presero ispirazione dagli artisti fiamminghi. Piero della Francesca ritrasse Federico da Montefeltro e la moglie Battista Sforza in un dittico di profilo. L’influenza fiamminga traspare dagli elementi paesaggistici indagati con cura minuziosa, come il fiume tortuoso popolato dalle barche sullo sfondo. Anche Antonello da Messina, nel “Ritratto d’Uomo”, riprendeva a sua volta la gamma di colori bruciati tipica dell’arte delle Fiandre.

Grandi esponenti del ritratto di gruppo furono Rembrandt, Gainsborough, Hogarth, Renoir, Degas, Sargent. In Spagna spicca Velàzquez che eseguì diversi ritratti degli esponenti della casa reale, e una realistica serie di ritratti ai buffoni di corte. Pittori come Carracci, Guercino e Bernini diedero inizio all’arte della caricatura, che fu poi portata avanti da vari artisti come arma di satira politica e sociale; in Inghilterra ad esempio fanno strada William Hogarth e Joshua Reynolds.

Il gusto Neoclassico 

Nel Settecento il gusto neoclassico si proiettava anche nei dipinti, che divennero caratterizzati da tonalità chiare e luci limpide, linee semplificate e pulite, tratti somatici equilibrati e idealizzati, con richiami all’arte greca. Grandi artisti di questo stile furono Antonio Canova, Ingres e Jacques-Louis David.

Entravano nei dipinti anche i soggetti comuni, ritratti in composizioni pittoresche e dallo stile popolare. Questi personaggi non erano committenti dell’opera ma attiravano l’attenzione dell’artista che voleva esplorare la varietà degli esseri umani; grande novità fu la serie dei malati mentali ritratta da Théodore Géricault, e lo sperimentalismo di Francisco Goya della “Maja Desnuda”.

GUARDA MEGLIO QUI – Ritratto di fanciulla francese del XIX secolo
Quadro francese raffigurante personaggio di grande carattere – GUARDA MEGLIO QUI

Il ritratto moderno e l’influenza della fotografia

Nell’Ottocento i ritratti si diversificano nella corrente “classica”, sulle orme di David; nella corrente “romantica”, di Delacroix, e in quella politica di Courbet. L’invenzione della fotografia aprì nuovi scenari nella ritrattistica, che divenne sperimentazione di luci e colori, dell’espressione del subconscio mentale e delle visioni personali.

Nel Novecento l’arte ritrattistica veniva influenzata dalla corrente astratta, che poneva il “sé interiore” al centro del ritratto e al di sopra della rappresentazione oggettiva della fisionomia. Grandi artisti moderni furono Modigliani, Mirò, De Chirico, Picasso.

Eseguire un ritratto prima della fotografia, richiedeva molto tempo. Gli artisti facevano posare i soggetti per diverse ore, a volte anche in più sedute. Si narra che Cézanne, obbligasse i suoi protagonisti a posare anche per 100 volte. Goya preferiva fare una seduta unica lunga l’intera giornata; altri pittori disegnavano il volto dal vivo e completavano successivamente in studio il corpo, gli abito, lo sfondo.

La prima preoccupazione del ritrattista era far stare a proprio agio il protagonista, in una posizione che fosse il più possibile naturale e intrattenendolo in conversazione per non alterare l’umore. Spesso i pittori, nella scelta dello stile e dei colori, prendono in considerazione il luogo in cui il ritratto verrà appeso e le decorazioni circostanti, per far sì che non stonasse con l’ambiente.      

“Ritratto di gentiluomo”, Francia, XIX secolo – GUARDA MEGLIO QUI .

 

Alfonso Lorenzetto

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